Il Maragià di Firenze

di Paolo Ciampi

A volte fermarsi a leggere una lapide, quelle dei monumenti o quelle poste sulle facciate delle case può aprire a mille domande. Le lapidi sono pietra, posta a imperitura memoria di un fatto o di un personaggio che magari qui aveva soggiornato o che da qui è transitato o rammenta fatti il cui ricordo nel tempo per noi può essersi affievolito.  Può emergere un senso di curiosità e interesse a saperne di più, a maggior ragione se si tratta della città in cui viviamo.

Penso che sia stato così per Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, che a zonzo nella sua città, nel tardo pomeriggio di un fine giugno afoso come solo Firenze ne sa regalare, fa sosta al baretto che sta al limite del parco alle Cascine, il sole sta tramontando e gli ultimi raggi entrano nel baldacchino di marmo del monumento poco distante. Inizia per lui un ricordo nella nostalgia dell’infanzia e degli anni giovanili in questa città, desiderando di scriverla una storia fiorentina, lontana da quei monumenti che definiscono la città in tutto il mondo.

Il Parco alle Cascine io lo ricordo quando nella mia prima infanzia mi portavano alla Festa del Grillo e tornavo a casa con la tipica gabbietta in cui per molto tempo l’ospite canterino mi faceva compagnia, per Ciampi la memoria di questo luogo va alla sua prima giovinezza, quando le Cascine erano sinonimo di degrado, poi divenuta area riqualificata, con chioschi di gelati, giostre, passeggio, luogo di merende e di ristoro e di espressioni artistiche, essendo il più vasto polmone verde della città a pochi passi dal centro, che si estende lungo l’Arno, alla confluenza con il Mugnone.

Qui si trova il monumento di cui ci parla, un tempietto con baldacchino e colonnine di marmo di fattura orientale comunemente conosciuto come il monumento all’Indiano, come anche con questo nome è conosciuto il ponte/viadotto dalle colonne rosse poco distante su cui spesso il traffico è imbottigliato, opera ingegneristica degli anni Settanta.

La lapide del monumento è scritta in quattro lingue (italiano, inglese, hindi, punjabi) e ricorda la morte di un giovanissimo marajà indiano, Rajaram Chuttraputti della città indiana di Kolhapur, avvenuta a Firenze nel 1870.

Era un ragazzo di ventun anni, in transito a Firenze, arrivava dall’Inghilterra dove era stato a rendere omaggio alla Regina Vittoria e nel viaggio di ritorno per l’India aveva visitato luoghi d’arte e a Firenze avrebbe inseguito il sogno della bellezza, prima di partire per la Grecia. Appena giunto con il suo seguito prese alloggio nel miglior hotel della città in piazza Ognissanti, si ammalò subito gravemente e nel giro di pochi giorni morì. La tradizione indù imponeva che il corpo fosse cremato, doveva avvenire alla confluenza di due fiumi e le ceneri sparse nelle acque. I fatti ce li racconta l’autore, prendendo spunto dalle cronache e dai documenti dell’epoca. Nel Granducato di Toscana, anche se ora Regno d’Italia, per motivi igienici la legge non consentiva la cremazione, il Sindaco trovò una soluzione, autorizzò sia la cremazione secondo i riti indù sia la dispersione delle ceneri in Arno che qui fungeva da Gange, iniziativa che creò un precedente importante nell’apertura verso questa nuova pratica funebre.

Paolo Ciampi ci regala un libro di viaggio: nei ricordi, nella nostalgia, nella storia del personaggio e delle tradizioni, un viaggio nei luoghi di quella Firenze e di quella odierna, portandoci avanti e indietro nel tempo.

Resta anche un viaggio nella storia, Firenze capitale d’Italia che si trovò a dover affrontare un evento unico, e ci fa assistere alla cerimonia notturna dove molti fiorentini parteciparono con rispetto e curiosità e anche orgogliosi del fatto che la città avesse acconsentito a questa pratica  senza precedenti, in un momento in cui a Firenze i non cattolici e i non ebrei  potevano essere sepolti solo fuori città e avevano a disposizione solo il Cimitero degli Svizzeri, ora conosciuto come il Cimitero degli inglesi.

E’ una lettura ricca, curiosa e di grande amore per questa città.

Maria rosa

.