Una solitudine troppo rumorosa

di Bohumil Hrabal

 Praga, il centro dell’Europa, la città magica, teatro di transito di idee e centro intellettuale degli scrittori mitteleuropei.

 Bohumil Hrabal (Brno 1914-Praga 1997) è uno di questi, scrittore creativo, onirico, anticonformista e per questo osteggiato dal regime ceco. Dalle sue esperienze lavorative più varie ed umili trae spunto per i suoi romanzi. Il suo stile è una espressione tra dramma, comicità, immaginazione e sogno secondo un canovaccio degno della Commedia dell’arte dando vita a un protagonista originale attorno a cui si sviluppa una storia che può mescolarsi alla pura fantasia.

In Una solitudine troppo rumorosa il personaggio principale è Hanta, un uomo che da ben trentacinque anni fa lo stesso lavoro in un seminterrato di un vecchio palazzo, riceve quintali di carta da macero e con la sua pressa meccanica la impacchetta. Gli capitano gli involucri di carta gialla che provengono dai macelli della città, con gli aloni di sangue e numerose mosche al seguito, fatture, corrispondenza di ditte e negozi, lettere, giornali, stampe e libri.

Grande bevitore di birra, nessuna cultura, grazie a questo lavoro si trova tra le mani stampe che raffigurano opere d’arte, pagine di poesie, libri di Hegel, Nietzsche, Holderlin, Kant, il Talmud, Goethe, Schiller.

Quando i camion scaricano la carta, la esamina, mette da parte i libri per leggerli o per regalarli, come se sentisse un profondo dolore a farli pressare dal suo macchinario. Non li può salvare tutti, a casa se ne porta tanti, ne ha messi insieme quasi due tonnellate e tra sè e sè pensa ”…in borsa porto libri dai quali mi aspetto che a sera da loro apprenderò su me stesso qualche cosa che ancora non so.”

Per quelli che dovranno passare sotto la pressa decide di applicare un sistema perché possano continuare a cedere bellezza. Impacchetta tutti i tipi di carte e cartacce, inserisce una stampa che raffigura un quadro, il frammento di una poesia, la pagina di un libro o addirittura un libro aperto ad una certa pagina e crea enormi parallelepipedi destinati al macero, dando alle pagine una strana continuità, ricreandoli e imprigionando nelle grosse balle di carta il senso della loro esistenza.

Oltre all’ossimoro del titolo, troviamo in questo suo sistema, che intende dare ancora vita a frasi, concetti, messaggi, storia pur dando loro una tomba, un che di contraddittorio.

Tra un boccale di birra, i nugoli di mosche, la polvere sottile del seminterrato, i topi che si accaparrano un po’ di cellulosa, Hanta è solo con i suoi pensieri, nel pazzo amore per i libri che ritiene siano bellezza, nella stravaganza di voler salvare fino a quando è possibile i semi nascosti nelle parole scritte.

Troviamo in questo libro la passione per la cultura e per l’arte, in un contesto mai ovvio, sorprendente, evocativo, poetico. Hara assorbe con voluttà le letture per farle sopravvivere.

E’ forse una storia triste ma bellissima, leggere-salvare-creare pensiero, fuori del tempo con profonda ironia e Hanta diventa l’eroe silenzioso che commuove.

La magica Praga di Kafka vede il nostro autore fare i conti con la impossibilità di continuare gli studi nel 1939 per l’arrivo dei nazisti e a dover svolgere i lavori più disparati: il magazziniere, il copista, il preparatore di malto in una birreria, l’operaio, il cameriere, la comparsa teatrale e l’imballatore di carta da macero per i libri proibiti dal regime comunista.  Hanta, il protagonista del libro che oggi suggerisco, diventa voce narrante per una storia che presenta il disfacimento della società.

Hanta è un pazzo, un visionario, un uomo confuso per la solitudine?

“Perché io mi posso permettere quel lusso di essere abbandonato, anche se io abbandonato non sono mai. Io sono soltanto solo per poter vivere in una solitudine popolata di pensieri, perché io sono un po’ uno spaccone dell’infinito e dell’eternità e l’Infinito e l’Eternità forse hanno un debole per le persone come me”.

Nella prima edizione italiana del 1987, quella che acquistai da giovane lettrice, l’impaginazione salta di tanto in tanto e presenta diverse pagine bianche. E’ stato certo un bel disturbo per noi lettori che ci siamo dovuti arrangiare a trovarne una edizione successiva per dare corso al romanzo. Ma trovarsi d’improvviso di fronte a un salto, la pagina bianca ci fa l’effetto di entrare nel vuoto che le parole mancanti lasciano, sottolineando l’atroce reato di sopprimere i libri.


Maria Rosa