di Philip Roth
Con Pastorale americana Philip Roth ha dato un ritratto dell’America che viene ritenuto il migliore mai scritto nel Novecento.
Pubblicato nel 1987 è ambientato in New Jersey negli anni settanta con diverse digressioni nel tempo. Il protagonista-narratore Nathan Zuckerman racconta del suo compagno di scuola Seymour, detto lo Svedese, di famiglia ebrea benestante che diventa l’eroe del suo paese e icona del baseball. Con le sue imprese distrae la comunità ebraica dagli orrori che si stavano intanto consumando in Europa. Ragazzo di successo, lavora con il padre nella loro fabbrica di guanti, sposa la reginetta di bellezza, si fa la casa che sogna e diventa padre. Una tranquilla e felice vita, da sogno americano.
L’adorata figlia Merry cresce stretta tra il suo ruolo di figlia della reginetta di bellezza e del capitano della squadra di baseball. Un incubo per lei dover tendere ad una bellezza e perfezione che non la riguardano, tra “vestitini scarpine una esistenza tutta in ini” e soprattutto riconosce la banalità frivola del suo mondo. Dove la madre – per prima – non le concede nessuno spiraglio alla sua indole e alla sua immaginazione.
Merry riserva ai suoi perfetti genitori un bel po’ di sorprese. Prima la contestazione in casa, poi quella alla società. Abbraccia le proteste studentesche, l’ostilità alla guerra del Vietnam l’avvicina a un gruppo violento, fa esplodere un ufficio postale in cui troveranno la morte alcuni cittadini del paese.
La famiglia cade in un dramma profondo, la ragazza adolescente spigolosa e ribelle, trasformatasi in una terrorista, un cambiamento inspiegabile del quale i genitori non trovano ragioni se non quello che la ragazza possa essere impazzita.
Sono gli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta con le sommosse, le violenze, i disordini razziali, gli scandali, e il protagonista/narratore ha materiale per scrivere sì una biografia del suo vecchio compagno di scuola, ma di fatto ci mostra lo specchio dell’americano medio, che si trova suo malgrado a dover riflettere sui fatti della storia americana, obbligandolo a confrontarsi con i flussi della società e a uscire dal guscio della vita familiare.
Lo Svedese è l’americano medio che non vede oltre il suo quotidiano, non sa e non vuole riconoscere i nuovi elementi che emergono, quelli che non costituiscano il suo vissuto e soprattutto crede di conoscere bene la sua famiglia. Rimane completamente annientato dal rendersi conto di non conoscerla affatto, al punto di cercare una causa esterna per questa crisi familiare che non può essere dovuta che ad elementi esterni, stravaganti, patologici.
Come vedete in Pastorale americana non c’è solo la famiglia, c’è soprattutto l’analisi del sogno, ormai spezzato. La guerra del Vietnam mette gli americani di fronte al fallimento.
Se lo Svedese è la ragione, la ragionevolezza, l’uomo che pur non condividendo non prende posizione e continua la sua esistenza, nel suo presunto buonsenso, la figlia Merry è una oppositrice che contesta la classe borghese e mette in dubbio il senso di Patria, una patria che è violenta, che conduce guerre folli, e troviamo la rabbia, i complotti. Il futuro migliore non c’è, c’è invece la disgregazione del sogno americano, l’abisso generazionale che rompe le certezze, rompe l’armonia familiare, calpesta il rispetto per la società, semina vittime.
In tutto questo lo Svedese si sente quasi responsabile, sicuramente non si sente più adeguato per consolidare il sogno che per lui resta incrollabile e nella sua solitudine rimugina sulla sua coscienza e nel tormento di padre, vagheggiando l’illusione di ricostituire la sua famiglia riportando a casa sua figlia.
In questo libro di Philip Roth pubblicato nel 1987 troviamo l’America e la disgregazione degli stereotipi che la riguardano.
Riconosciamo le spinte contestatrici di quegli anni, la necessità delle nuove generazioni di essere protagoniste del cambiamento, ma anche le vittime di oggi, quelle di una strana democrazia e di una società malata, ovvero il fallimento e un’America sotto inchiesta.
Qualcuno definisce questo libro “il più bello della letteratura americana contemporanea” certo è che si tratta di un grande ritratto dell’America, con una contemporaneità di analisi che impressiona, con il suo incerto futuro e con le sue molte contraddizioni.
“In un modo assolutamente inverosimile, ciò che non avrebbe dovuto accadere era accaduto e ciò che avrebbe dovuto accadere non era accaduto.”
Maria Rosa