FURORE

di John Steinbeck

Durante la grande depressione degli anni Trenta si stima che furono oltre cinquemila i contadini che abbandonarono il Midwest per raggiungere la California in cerca di lavoro. Per fame e mancanza di lavoro lasciarono le loro case per cercare di sopravvivere, emigrando a ovest.

Steinbeck ne aveva scritto in numerosi articoli per il San Francisco News e li usò per dare vita ad un romanzo che fu pubblicato nel 1939, intitolandolo Furore.

Il romanzo narra le vicende della famiglia Joad che si trova nella condizione di non poter più lavorare la terra per una concomitanza di effetti: la crisi economica, l’impoverimento della terra per la siccità e per il vento che per settimane aveva spazzato via tutto rendendo impossibile lavorarla. Senza mezzi di sostentamento l’unica alternativa era andarsene per non morire di stenti. La famiglia Joad, come tutti gli altri contadini, vende tutto quello che ha e organizza il viaggio della speranza.

Padre madre due figli maschi una figlia incinta con il compagno, lo zio, i nonni partono su un vecchio camion lasciando tutto, buttando via tutta la loro vita fino a quel momento, per un viaggio di 2000 miglia fino in Texas. A parte gli anziani nonni che non volevano partire, gli altri familiari riservavano molte speranze su questo viaggio, il miraggio di un lavoro, un po’ di benessere, l’idea che i grandi frutteti del sud offrissero a chiunque la possibilità di mangiarne i frutti. I più giovani del gruppo già immaginavano il loro futuro magari mettendo su una piccola attività.

Il viaggio è lungo, terribile, drammatico, ognuno di loro deve fare i conti con il male che incontra, con la solitudine, con le difficoltà.

Raramente incontreranno la generosità di qualcuno, più spesso invece avranno a che fare con approfittatori e sempre con miseria, sporcizia, casupole malconce quando va bene, o baraccopoli.

Ma la storia era drammatica non solo per chi partiva, anche per chi li vedeva arrivare. Il sogno della California o del Texas, ampi spazi e campi da coltivare, e per chi li vedeva arrivare la paura, il sospetto, l’odio per chi viene e ti ruba il lavoro.

Ma cosa accade agli uomini quando si trovano in una emergenza, si trasformano tirando a sopravvivere. E alle donne? Non ci dimentichiamo delle vere protagoniste del romanzo, la madre è la donna forte che tiene su tutti gli altri, che fa i conti con le difficoltà per mettere qualcosa nella pentola e che si rende conto della necessità di aver buon cuore anche vivendo nella miseria nera e dividere quello che si ha con gli altri. Poi c’è la figlia, Rosa Tea con la sua gravidanza ormai a termine e il corpo sfinito per la fame che nel fango degli ultimi giorni non ricorda nemmeno i progetti di speranza. Sarà proprio nel momento in cui il fiume strariperà e tutti sono impegnati a creare barriere per non essere invasi dalle acque che avviene il parto. Il bambino non ce la farà. Possiamo immaginare questa gente inzuppata di acqua e fango che cercherà un posto in cui ripararsi. Sarà proprio in un vecchio fienile che troveranno riparo per asciugarsi un po’, ma anche una situazione peggiore della loro, un uomo che sta morendo di fame. La madre sa cosa va fatto, guarda la ragazza che capisce al volo e sa cosa deve fare, donare il proprio latte al moribondo.

Commovente, si continua a cercare speranza e a donare speranza.

Il romanzo  colpisce nel profondo. Cos’è il furore del titolo? E’ la lotta per sopravvivere, la paura di vedere i propri figli morire di fame, Steinbeck dà un nome a questi fatti, a questo passaggio storico che ciclicamente si ripete, dove non siamo certi di essere quelli che saranno giusti.

Maria Rosa

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