di George Simenon
Quando George Simenon ambientò alcuni dei suoi Maigret negli Stati Uniti non fece viaggiare la fantasia, non fece altro che trascinare con sé il povero commissario a quelle latitudini che aveva scelto di visitare e in cui sperava di trovare il luogo che sarebbe diventato la residenza della sua famiglia.
Il più che prolifico scrittore belga naturalizzato francese, padre di una quantità di bei romanzi e di avvincenti gialli, terminata la seconda guerra si trovò a fare i conti con le accuse di collaborazionismo e le minacce di epurazione. Nel 1941 aveva firmato un contratto con una società a capitale tedesco diretta dal produttore Alfred Greven, amico di Hermann Gӧring, per la produzione e distribuzione di film tratti dai suoi romanzi. Inoltre suo fratello Christian era militante di un gruppo di estrema destra, ricercato per aver partecipato, nel 1944, ad una spedizione punitiva nella quale avevano trovato la morte 19 civili.
Simenon ottiene il visto per visitare il Canada e nel 1945 con la famiglia vi sbarca pensando poi di trasferirsi negli Stati Uniti. Organizza un viaggio di perlustrazione che parte dal Maine fino al Golfo del Messico. Con la moglie, il figlio, l’istitutrice del figlio e la segretaria francocanadese viaggiano a bordo di una Chevrolet (che aveva pagato duecentomila franchi) e di una Oldsmobile otto cilindri (che aveva pagato duecentocinquantamila franchi).
Studia gli Stati Uniti a fondo, annota informazioni, impressioni che furono dapprima tre reportage redatti tra il 1946 e il 1958: L’Amérique en auto (1946), Notes de voyage (1952) e L’Odeur de l’Amérique (1958), più un Album fotografico poi raccolti nel libro L’America in automobile edito in Italia da Adelphi nel 2023, in cui scopriamo un Simenon che annota appunti di un lungo viaggio fatto per guardare un Paese sconosciuto e sconfinato, studiare la gente che lo abita, capire le dinamiche della vita comune e immaginare come vive questa gente, cosa quel Paese ha da offrire a lui e alla sua famiglia.
Simenon è un osservatore a caccia di dettagli, anche quelli che paiono meno significativi, annota il costo di ogni prodotto che vede nelle vetrine, apprezza la tecnologia che offre già frigoriferi e aria condizionata nelle case, rispetto a quell’ Europa che lui ha lasciato sotto un mucchio di macerie.
“Forse è un po’ ingenuo da parte mia, ma per immaginare la vita di quella gente spesso sento il bisogno di conoscere tutti i particolari della quotidianità”.
Di conseguenza buona parte del suo interesse è come vivono gli americani, e resta stupito dal fatto che trova quel Paese identico a come lo aveva immaginato.
Già, per gli europei in quel tempo, con la guerra appena terminata, l’America racchiudeva il senso della libertà e il benessere e in più per la famiglia Simenon significava essersi lasciati alle spalle oltre ad una Europa distrutta, una reputazione macchiata. E’attratto da New York, che lo ha conquistato con l’allegria della gente, il modo bonario, la cordialità che si percepiscono. E così per tutti gli Stati in cui si ferma, ritrovando in queste terre un pezzetto della vecchia Europa, crede di riconoscere nei diversi quartieri delle grandi città o negli stati in cui si ferma, le caratteristiche originarie di ogni popolazione proveniente da Paesi europei che qui si sono integrate e che rendono il popolo americano agli occhi di Simenon qualcosa di unico nella loro fusione.
Una parte importante in questo diario di viaggio la dedica agli immigrati italiani, che lì hanno aperto botteghe, pizzerie, dedica delle pagine con simpatia per queste persone che con il loro genio e lavoro duro si sono saputi costruire una vita.
“Gli italiani sono con tutta probabilità quelli che hanno dato l’apporto più evidente e, ai miei occhi, se non il più importante, perlomeno, il più gustoso – aggiunge Simenon – In ogni strada, in ogni cittadina, in ogni campagna vedrete sopra una porta un’insegna luminosa rossa o blu con la scritta “Pizza”; i ristoranti, i bar si chiamano “Luigi’s”, “Napoli”, “Roma”, eccetera”
“Sono milioni a lavorare così, fornendo da bere e da mangiare a quell’enorme babilonia, e a vederli nei loro retrobottega o nelle loro fattorie, seduti alla tavola di famiglia, dove parlano la lingua della loro antica patria, sembrerebbe proprio di stare in un borgo del Piemonte, della Puglia, della Toscana, in un vicolo di Napoli o di Palermo. Hanno portato con sè gli odori famigliari del Mediterraneo, il gusto delle erbe e delle specie, e anche quello dei piccoli mestieri, dell’artigianato, del lavoro in famiglia”.
In questo diario di viaggio pieno di curiosità, troviamo un Simenon sempre puntuale nelle descrizioni, nella ricerca del senso delle esistenze, dello spettacolo della vita che poi è la caratteristica del suo stile di romanziere.
Rimane negli Stati Uniti dieci anni, poi rientra in Francia nel 1955, ormai riabilitato e avendo esaurito la sua curiosità e la voglia di farsi americano. Era giunto con lo stesso entusiasmo con cui era arrivato a Parigi e ne aveva fatto la sua terra.
E ora come allora parte senza guardarsi indietro.
Maria rosa
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