E’ lecito uccidere i tiranni? – I teologi del ‘500 sul diritto di resistenza


Lezione di Merio Scattola 20/01/2012
corso di filosofia A.A. 2011-2012
“Occhio per occhio, dente per dente?
I filosofi, la giustizia e la politica”

Trascrizione a cura di Gigliola Varani

Introduzione

Merio Scattola, Professore straordinario di Storia delle dottrine politiche e vicedirettore del dipartimento di Studi linguistici e letterari dell’università di Padova, si è spento il 25 agosto 2015, pochissimi anni dopo il suo intervento ad Università Aperta.
La sua lezione si sviluppa con una serie di domande (evidenziate in grassetto) e risposte che ci guidano a comprendere il pensiero filosofico di quei tempi fino a portarci alla conclusione su una tematica sorprendentemente ancora di attualità.

ANDIAMO AD INIZIARE

E’ lecito uccidere i tiranni secondo i teologi?
Se pensiamo alla storia della Chiesa, il 1500, insieme al periodo delle grandi eresie del III° e IV° sec. d.C., è stata l’epoca più drammatica, durante la quale il conflitto religioso è risultato particolarmente intenso. Dal punto di vista dei teologi, il tiranno e l’assassinio del tiranno, sono stati oggetto di due vere e proprie dottrine nel corso della storia. Filosofi, teologi e giuristi si sono sempre interrogati su questo tema.
Esiste qualcuno che si possa definire tiranno?
Thomas Hobbes (1588-1679) nel 1651 sosteneva che il tiranno non esiste. Tiranno è la parola che le persone usano per indicare i regimi che non vogliono: i monarchici dicono che la democrazia è tirannica, mentre per i democratici il re è tirannico. Hobbes esaurisce qui la risposta.
Qual è la differenza fra un tiranno e un reggente legittimo? Esistono vari tipi di tiranni o sono tutti uguali? In quale condizione si diventa tiranno?
Fin dall’antichità ci sono libri e trattati che definiscono questa figura. La parola tiranno oggi viene usata raramente: di Saddam Hussein non diciamo che era “il tiranno”, ma piuttosto “il dittatore” del popolo iracheno. C’è differenza fra questi due termini? Ma poiché la lezione di stasera riguarda l’assassinio del tiranno, ci dobbiamo chiedere:
È possibile agire contro il tiranno e a quali condizioni?
Che tipo di azioni si possono intraprendere: passive, come la dissuasione e il convincimento, o attive come la violenza?
La violenza di quale tipo può essere? Chi deve esercitarla: qualcuno incaricato, o possono farlo tutti?

La liceità o meno del tirannicidio, cioè dell’assassinio del tiranno, è stabilita da una dottrina che tratta del “diritto di resistenza”.
Cos’è il diritto di resistenza, com’è stato trattato in un certo momento storico e a quali conclusioni ha portato
Questo diritto lo possiamo intendere sotto l’aspetto teorico o sotto l’aspetto pratico. Iniziamo dall’aspetto teorico.
Il termine “resistente” viene usato spesso nel linguaggio giornalistico attuale (es. resistenti afgani). Esso fa parte di una teoria più generale che riguarda l’obbedienza e il rifiuto dell’obbedienza. Nella teoria il diritto di resistenza viene definito come il diritto all’uso della forza – individuale o di gruppo – contro un comando illegittimo (cioè dato da chi non ne aveva la facoltà) o ingiusto (cioè dato da chi ne aveva la facoltà, ma l’ha usata male). Ovviamente un comando può essere tanto illegittimo quanto ingiusto.
La forma di resistenza può essere passiva (dissenso, disobbedienza passiva con o senza conseguenze, fuga) oppure attiva (manifestazione, fino all’uso della violenza, collettiva o individuale)
La cosa interessante è che il diritto di resistenza che noi tratteremo in forma storica, attraverso i teologi, è presente in tutti i nostri ordinamenti giuridici.
Il più famoso è quello inserito nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, che cita: “ogni qualvolta una determinata forma di governo americano giunge a negare il perseguimento della libertà e della felicità individuale, è diritto del popolo modificare o abolire tale forma di governo”. Questa è una forma collettiva di diritto di resistenza. Nel luglio 1789, subito dopo la rivoluzione francese, viene emanata la “Dichiarazione dei diritti e delle norme del cittadino” in cui si dice: “ogni uomo ha diritto di resistenza contro un governo che sia ingiusto o illegittimo”.
 Inoltre, nella legge fondamentale tedesca (cioè la loro Costituzione) del 1949, l’art. 20 recita: “tutti i tedeschi hanno diritto alla resistenza contro chiunque minacci i diritti fondamentali citati in questa costituzione, usando anche la violenza se non c’è altro rimedio”.
Anche la Costituzione italiana aveva previsto nella sua prima stesura, all’art. 49, la possibilità del diritto alla resistenza, che nella versione finale è stato tolto. Tale diritto rimane in un vecchio decreto luogotenenziale (D.L. 14.09.1944, n. 288) e viene tuttora usato nella giurisprudenza: “la resistenza ad un pubblico ufficiale che abbia superato arbitrariamente i limiti delle sue funzioni, non costituisce reato”. Infine l’art. 25 del Regolamento delle Forze Armate dice: “un militare non deve eseguire un ordine palesemente contro lo Stato”.
Dal punto di vista storico la resistenza, e addirittura il tentativo di inventare istituzioni politiche di resistenza, nasce con le prime città greche. La Grecia inventa il termine “tiranno” e “tirannicidio”. Ad Atene nel V° e IV° sec. a.C. con Pericle, Socrate e Clistene, c’è la democrazia. Prima della democrazia, attorno al 520 a.C., la città è governata dai discendenti di Pisistrato, Ipparco e Ippia, che sono due tiranni. La resistenza dura dieci anni, ma poi con l’aiuto di Sparta e l’azione di due eroi ateniesi, Armodio e Eristogitone, la città nel 514 a.C. si libera dai tiranni. Si ha in questo modo la dimostrazione che il tirannicidio ad Atene veniva onorato e venerato. Atene aveva proprie leggi che consentivano di giudicare chi era sospettato di voler prendere il potere. Sparta invece aveva un ordinamento costituzionale misto, nel quale c’erano due re ereditari. Accanto a loro c’era un collegio di efori, i quali avevano il compito di denunciare e fermare i re sospettati di volersi impadronire dell’intero potere. Qui la resistenza viene costituita in una vera e propria magistratura.
Sistemi giuridici per impedire ad un tiranno di assumere il potere sono anche a Roma, con l’istituto del “Senatus consultum ultimum”. In momenti di particolare crisi, il Senato usa questa formula: “se la vedano i consoli”, cioè i consoli possono decidere di imprigionare e uccidere cittadini senza processo. Un esempio famoso è quello di Cicerone, che condanna Catilina nel 63 a.C. perché accusato di congiura contro il Senato.
Nel medioevo il tema della resistenza diviene diffusissimo. Già nell’alto medioevo si afferma una protezione germanica del regno. In questo regno formalmente il re viene eletto dai diversi capi tribù, i quali scelgono il condottiero che ritengono più forte e più abile. Quindi non esiste una dinastia reale e fra i guerrieri elettori e il re c’è un rapporto di fiducia. Il re è obbligato a garantire l’ordine in battaglia e, se non ci riesce, i guerrieri che l’hanno eletto si ritengono giustificati a rifiutare l’obbedienza, perché è venuta meno la loro fiducia. Questo principio vale sempre nella storia medievale. Ad esempio Barbarossa viene in Italia perché ha problemi con i comuni italiani e i suoi elettori tedeschi si ribellano. La cosa si complica quando nel X° e XI° sec. si diffonde l’istituto del feudalesimo, con il rapporto di vassallaggio, che prevede un vero e proprio contratto, nel quale il Signore si impegna ad offrire certe prestazioni e il Vassallo si obbliga a determinate contro-prestazioni. Se il Signore non rispetta il contratto, il Vassallo ha il “diritto di faida” –  termine longobardo che deriva dalla parola “fede”. Si tratta di un istituto giuridico medievale accettato da tutti nel mondo germanico come forma di giustizia e utilizzato da chi è nella posizione inferiore contro il suo superiore, che non ha rispettato le condizioni stabilite. Il più famoso contratto in cui appare il diritto di faida è quello della Magna Carta del 1215 fra Giovanni Senzaterra e i baroni inglesi (la parola “baroni” significa “uomini liberi”), dove è previsto un diritto di faida che i baroni possono esercitare contro il loro re.
Chi sono i teologi nel ‘500 dal punto di vista del loro sapere?
Le forme del sapere medievale e del primo evo moderno (cioè dal 476 d.C. fino al 1700, dopo Galileo) è un sapere topologico e tradizionale. Topologico deriva da una parola greca che significa “luogo comune”, cioè si parte dalla convinzione che gli uomini hanno a disposizione tutto quello che c’è da sapere; non occorre conoscere altro. Fanno i conti che l’uomo vive su questa terra da 6238 anni. In tutto questo tempo gli uomini hanno avuto modo di conoscere tutte le cose e gli esseri viventi. Questo vale anche per le azioni umane, che in maniera molto simile si sono presentate nelle varie generazioni, comprese tutte le forme possibili di costituzione. Il sapere dunque può dirsi concluso; anzi, se uno vuole inventare qualcosa di nuovo è un ciarlatano. In latino si usava il termine “novatores” (chi vuole innovare) in senso negativo, cioè chi vuol cambiare dove non c’è nulla da cambiare. Però il nostro sapere è svolto in maniera confusa, quindi occorre mettervi ordine. Allora ci serve una concezione “topologica”, cioè una mappa del sapere. Nel sapere che abbiamo accumulato ci sono delle contraddizioni. Ad esempio un francescano, oppure un qualsiasi fedele alfabetizzato del 1200-300, apre la Bibbia e legge: “porgi l’altra guancia”, oppure “chi di spada ferisce, di spada perisce”; ma poi nel “Deuteronomio” trova: “Israele vai, distruggi il tuo nemico, sradica le sue cose. Della popolazione che conquisterai riduci in schiavitù le donne e i bambini e uccidi tutti i maschi”. Come possono stare insieme le due cose? Nel 1200 queste affermazioni sono entrambe “parola di Dio” e non possono contraddirsi.
Pietro Abelardo (1079-1142) sviluppa una tecnica particolare descritta nel suo libro “Sì e no”. Egli raccoglie tutti i casi nei quali autorità indiscusse, perché di fonte divina, sembrano affermare una cosa e il suo contrario. Il suo obiettivo è quello di dimostrare che sono entrambe verità, se viste in un certo modo. In questo modo lui fa come quel muratore che usa i sassi da fiume per costruire un muro. I sassi da fiume del Brenta, sostiene, sono di sette tipi diversi e occorre saperli combinare sette volte sette. Così queste affermazioni, apparentemente contradditorie, devono essere combinate di volta in volta, in modo che stiano in piedi. Ad esempio il comandamento “non uccidere” va inteso nella giusta prospettiva, cioè non è un ordine perentorio generale, che vale sempre e comunque: vuol dire non uccidere il giusto. Se non devo mai usare la violenza, come giustifico la legittima difesa? In natura gli essere umani evitano di farsi del male fino in fondo, a meno che non siano minacciati seriamente.
Nel medioevo dunque le conoscenze ereditate cominciano ad essere organizzate in sistemi che vengono chiamati “discipline”. Disciplina è una parola che ha a che fare con discepolo, dove il maestro è il docente che gli insegna la dottrina. Le discipline erano organizzate in “facoltà”, che erano al massimo quattro in tutte le università d’Europa. La facoltà di base è quella delle Arti o Filosofia, da cui si ottiene il titolo di “maestro”; da qui si può accedere a Medicina, Giurisprudenza o Teologia, ottenendo il titolo di “doctor”. Quindi il filosofo può essere solo “maestro”. Anche l’intera disciplina è concepita in maniera chiusa, rigorosa, canonica; cioè ogni facoltà lavora su un solo autore, con il compito di capirlo e commentarlo. Ad esempio la facoltà di filosofia legge Aristotele: fino al 1600 Platone è letto fuori dall’università. Infatti le Accademie dal ‘500 in poi, vengono fondate proprio per leggere testi diversi. La Medicina legge Galeno (216-129 a.C.), medico romano che ha organizzato il sapere medico del suo tempo, scrivendolo in greco. Nelle facoltà di diritto si studia il diritto civile di Giustiniano del 533-34 d.C. Dal 1140 si forma anche il Diritto Canonico (vedasi la raccolta di Bonifacio VIII° – “Una Sanctam”). Il libro di testo della facoltà di Teologia è quello di Pietro Lombardo (1100-1160) che ha insegnato a Parigi e ha raccolto, in quattro libri di sentenze, tutti i problemi fondamentali della teologia cristiana, Dopo il Concilio di Trento, attorno al 1550, viene adottato anche il testo di Tommaso d’Aquino (1225-1274) “la Summa Teologica”. E’ interessante vedere come questi teologi si riconoscano appartenenti alla stessa “comunità di citazione”, che dimostra come la ricerca di novità sia assente, se non condannata. L’unica novità può essere nella disposizione di un testo noto.
Siamo quindi arrivati al 1500 e sappiamo che c’è una tradizione del diritto di resistenza che risale all’antichità e qui troviamo almeno tre gruppi di teologi: cattolici – con variazioni controllate al loro interno
luterani
calvinisti – composti da diverse sette con proposte teologiche differenti

All’inizio del 1900 ci si è chiesti:
per quanto diverse, queste teologie hanno contribuito alla storia del mondo occidentale e a come esso è diventato?
e hanno contribuito ad influenzare anche la politica e soprattutto questo tema della resistenza?

Una risposta è stata fornita da uno dei più importanti teologi luterani del ‘900 tedesco: Ernst Troeltsch, che nel 1906 ha svolto una conferenza dal titolo “Il significato del protestantesimo per la nascita del mondo moderno”. Egli sostiene questa tesi: il protestantesimo, considerando insieme luterani e calvinisti, è stato fondamentale nella storia europea perché per la prima volta ha messo fortemente in discussione l’autorità di una Chiesa universale e ha cercato di organizzare la vita terrena in un rapporto diretto con Dio. Questo rapporto passa attraverso la Bibbia, escludendo quindi la Chiesa. C’è però una differenza radicale fra Calvinisti e Luterani: i Calvinisti hanno visto nella Bibbia la descrizione di una profezia del regno di Dio e cercano di realizzarla esteriormente, trasformando la Bibbia in Istituzioni. L’esito dei puritani e dei dissidenti inglesi sono: gli Stati Uniti d’America, i Paesi Bassi e parte della Svizzera. Quindi essi vogliono applicare la Bibbia a tutti gli aspetti della loro vita. Anche i Luterani vogliono realizzare il regno di Dio, ma lo intendono come un regno interno, cioè la libertà del cristiano è solo interna. Ne consegue che egli è schiavo di tutto ciò che trova all’esterno. Questo lo mette in una condizione particolare, perché se l’autorità esterna degenera, non ha nessun’arma per ribellarsi, ma può opporre solo una resistenza passiva; cioè i luterani non obbediscono e accettano il martirio come conseguenza. Questa tesi è stata approfondita in maniera sistematica dallo storico americano William Shirer (1904-1993), il quale dimostra che la resistenza negli anni 1933-35 in Germania non è stata possibile per colpa della Chiesa luterana, la quale, considerando legittimo lo Stato, ha subito le sue leggi senza reagire. Un’altra tesi che riguarda il diritto alla resistenza e i teologi nel ‘500, l’ha formulata uno storico della chiesa americana, Robert Kingdon (1927 – 2010), morto di recente, il quale sostiene invece che il diritto alla disobbedienza l’hanno inventata proprio i Luterani fra il 1546 e il 1550. La riforma luterana è contemporanea a Carlo V°, il quale inizia una guerra nel 1546 contro i Luterani, che si conclude nel 1555 con la pace di Augusta, grazie alla quale si concede l’esistenza ai Principati luterani. Per questo Kingdon sostanzialmente dice che i Luterani hanno inventato il diritto di resistenza. Dal 1555 in poi loro hanno siglato la pace e passano il testimone ai Calvinisti, i quali vengono perseguitati in Francia, finché nel 1594 con l’editto di Nantes ottengono anche loro il diritto di esercitare la disobbedienza. Così il problema passa ai Cattolici.
Il diritto alla resistenza è una dottrina molto antica che nel ‘500 torna ad essere attuale e utilizza almeno due argomenti comuni: uno espresso in italiano e l’altro nel rispettivo dialetto dei Luterani, Calvinisti e Cattolici.
Così tutte e tre le confessioni religiose hanno gli elementi comuni scritti in italiano e poi le riflessioni aggiunte sono scritte nei rispettivi dialetti e si sviluppano in modo indipendente.
La parte comune tratta della legittima difesa e del diritto naturale. Poi i Luterani trattano del IV comandamento, i Calvinisti usano invece la dottrina del patto, cioè l’idea che Dio ha fatto un patto col suo popolo, mentre i Cattolici usano la versione della potestà indiretta del Papa.
Vediamo gli argomenti che hanno in comune.
Prendono spunto da un testo di Bartolo da Sassoferrato (1313 -1357), un giurista italiano del ‘300, che nel libro “De Tirannia” contrappone il governo del “tiranno senza titolo” rispetto al governo del “tiranno nell’esercizio delle sue funzioni”.
Cioè possiamo distinguere un usurpatore che vuole governare al posto del legittimo re, pur non avendone alcun titolo. In questo caso tutti i teologi concordano nel considerare illegittimo ogni suo comando. E’ un nemico del paese che tutti devono combattere. La legittima difesa infatti è un diritto di natura.
Più complicato è invece il caso di un re legittimo per successione o per elezione, che ad un certo punto comincia a diventare tiranno.  Ad esempio Carlo V° pretendeva che i Luterani diventassero Cattolici; allora i Luterani risposero: “in questo modo tu ci danni l’anima. Possiamo rinunciare a tutto, ma non a questo”. Quindi nel ‘500 questa pretesa di un re di far cambiare religione al popolo, era la peggior forma di tirannia.
Tutte le confessioni religiose accolgono queste due ipotesi di tirannia, che sono scritte in italiano e tratte dal diritto romano che dice: “è consentito respingere la violenza con la violenza”: questo è il fondamento della legittima difesa.
Quando si può applicare questo principio? Quando sono presenti quattro condizioni:
– C’è una minaccia a rischio della vita;
– Non è possibile evitare la minaccia con la fuga;
– Non è possibile chiamare soccorsi;
– Posso reagire, ma devo farlo subito, perché se lo faccio dopo diventa vendetta, la quale, non essendo più legittima difesa, non è lecita.
La cosa importante è che non conta chi è la persona che mi minaccia: può essere anche l’imperatore in persona.
Il teologo Justus Menius ha scritto nel 1546 un trattato sulla legittima difesa in cui si afferma: “tutti gli uomini godono del diritto naturale per diritto divino. Questo diritto è un raggio di luce che Dio ha impresso sulla ragione umana; quando l’uomo si trova in grave pericolo e l’autorità non gli viene in aiuto, allora Dio gli permette di salvarsi difendendosi con le proprie mani”. Ci sono molti casi in cui questa difesa non è solo permessa, ma comandata, come ad esempio nella difesa della propria famiglia.
Per spiegare perché i tedeschi potevano ribellarsi e legittimamente usare la violenza, si può citare un testo del 1539 di Martin Lutero (1483 – 1546), il quale, nonostante sostenesse l’obbedienza all’autorità, dice: “il Papa è una bestia tanto mostruosa, che non è né un’autorità né un tiranno ed è una bestemmia contro Dio quando egli sostiene di essere il signore di tutti i signori. Infatti un tiranno almeno è per lo più sottoposto alle leggi, ma il Papa è un diavolo, perché vuole che si veneri la sua pubblica blasfemia al di sopra delle leggi e contro di esse. Come tutti quanti siamo tenuti al soccorso quando scoppia un incendio in città, allo stesso modo siamo sempre tenuti a combattere il “lupo mannaro”, perché la legittima difesa è naturale. Quando dunque l’imperatore ignora quale sia la chiesa, si può ancora tollerare, ma quando vuole proteggere il lupo mannaro (cioè il Papa) non si può sopportare e bisogna opporgli resistenza”. La legittima difesa come diritto naturale è riconosciuta da tutti i teologi.
Vediamo le diverse considerazioni nel dialetto di ciascuno.
I Luterani dicono: quando Dio ha creato Adamo ed Eva, ha scritto nel loro cuore alcune leggi che valgono per tutti gli uomini e appartengono al diritto naturale, come ad esempio rispettare i genitori. La sintesi del diritto naturale è nei 10 Comandamenti che valgono per tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro confessione religiosa. Il IV° Comandamento – Onora il padre e la madre – si estende agli insegnanti che si sostituiscono ai genitori nell’istruzione e in seguito vale nei confronti di chi governa legittimamente. Quindi per i Luterani le autorità pubbliche sono fondate sul IV° comandamento, cioè sono una derivazione dell’autorità paterna. Però quando il padre si comporta male, interviene l’autorità pubblica che gli toglie la patria potestà. Allo stesso modo, se il sovrano sbaglia, sarà possibile opporgli resistenza, anche con la violenza.
Filippo Melantone (1497-1560) è il n. 2 del luteranesimo, perché Lutero non ha mai scritto una vera teologia; lo ha fatto per lui, in modo sistematico, Melantone. Secondo lui é Dio che parla quando si tratta di diritto naturale. Il documento fondamentale che espone questo argomento è la “Confessione e apologia dei pastori di Magdeburgo” . Questi preti non si sono mai arresi a Carlo V° nei cinque anni di assedio e in un manifesto sostengono che i sacerdoti hanno il diritto di prendere le armi contro l’imperatore.I Calvinisti dal canto loro sostengono il fondamento teologico della predestinazione. Se Dio è veramente onnipotente, gli uomini non possono essere liberi, perché sono predestinati: è dall’inizio dei tempi che Dio ha scelto chi salvare e chi dannare. Con quale criterio? Il suo. Dio con il popolo ha stretto un patto: il primo patto è stato fatto con Adamo nel paradiso terrestre, il secondo quando l’ha condannato alla morte e al dolore, il terzo quando si è manifestato sul Sinai e l’ultimo è quello del Nuovo Testamento. Dio continuerà nella storia a stringere patti con gli eletti. Nella storia esiste una sola comunità legata direttamente a Dio da un triplice patto: il primo patto Dio lo fa con il popolo di Israele e con Aronne. In questo patto Dio promette di proteggere il popolo di Israele, che in cambio deve riconoscerlo e obbedire alla sua legge. In particolare il popolo promette fedeltà al suo re, il quale promette fedeltà a Dio. Si tratta di un contratto particolare di “correità in solido”, perché da un lato c’è Dio, dall’altro c’è il popolo e il suo magistrato. Questo significa che se uno dei due non fa il suo dovere, l’altro è responsabile anche per quello che manca. Se il popolo non si comporta bene, il magistrato dovrà risponderne a Dio. Se invece è il magistrato a comportarsi male – poiché anche il popolo, nel suo piccolo, è responsabile verso Dio – allora è il popolo che ne risponde. Questa duplice responsabilità del popolo verso il sovrano e del sovrano verso il popolo, finisce con questa dichiarazione di indipendenza in cui si dice: “se il governo non fa il bene del popolo, allora il popolo deve destituirlo”.
L’ultima versione del diritto di resistenza è quella cattolica, la cui variante si chiama “potestà indiretta del Papa”. Questo ragionamento lo troviamo solo tra i teologi cattolici e risale alla riscoperta di Aristotele attraverso Tommaso D’Aquino. La sfera politica e quella religiosa sono due ordini creati da Dio e indipendenti uno dall’altro. Tuttavia sono creati uno prima dell’altro: la sfera politica civile serve per creare persone buone e virtuose. Il miglior governante è quello virtuoso che “sa riportare i non sapienti alla sapienza”. Basta questo per salvarsi? No: per avere la salvezza eterna è necessario essere anche cristiani, ma dal punto di vista umano una buona società ben governata sta in piedi da sola. Perciò, per il suo funzionamento, la sfera politica non ha bisogno della religione e viceversa la sfera religiosa funziona anch’essa in modo autonomo. Però la sfera umana precede quella religiosa, perché non si può essere bravi cristiani se non si è anche bravi uomini. Cioè prima ci sono le virtù umane, a cui si possono aggiungere le virtù religiose. Dunque la sfera religiosa non ha nulla da dire a quella politica, a meno che la sfera politica non degeneri a un punto tale da mettere in discussione i buoni cristiani e la loro salvezza eterna. Solo a questo punto il Papa può intervenire con una potestà indiretta, per salvare il gregge della sua chiesa. Il Papa in questo caso può condannare il governante, togliergli il titolo e renderlo di conseguenza preda di rivendicazioni e violenze. Nel 1598, in Francia, il re Enrico IV°, che era calvinista, si converte al cattolicesimo (vedi la famosa frase “Parigi val bene una messa”); ma poiché continua a tollerare i calvinisti, le tensioni col mondo cattolico si fanno fortissime e ci si appella in particolare a questo diritto papale.

Tornando alla domanda iniziale: “si può uccidere il tiranno?”
La risposta è “sì”.

Immagine: I tirannicidi Armodio e Aristogitone uccidono Ipparco.
I liberatori, col loro martirio divennero simboli della riacquistata democrazia in contrasto col precedente stato di tirannide. Da uno stamnos attico (470-450 a. C.) del pittore di Siriskos, immagine dalla tav. 12 del vol. XLI (1883) di Archäologische Zeitung, Deutsches Archäologisches Institut, a cura di Eduard Gerhard, Ernst Curtius, Max Fränkel; Berlino, 1884.